Fort Biennale 01. Nel corpo del linguaggio

The Bowels of the Earth fa parte di una serie di dipinti di
grande formato che raffigurano paesaggi sotterranei, tra
astrazione e figurazione. Uno spazio pittorico organico,
permeato da radici, ci invita ad adottare la prospettiva
dell’ecosistema sotto la terra. Il tubo fognario si riferisce
agli interventi pragmaticamente radicali dell’uomo
e mina la psicologia della nostra visione dualistica della
natura. Su un palo a fianco, la scultura whisper sweet
nothings si protende come una foglia antropomorfa per
raccontare storie della foresta.

Il video Night Soil–Economy of Love di melanie bonajo
fa parte di una trilogia di film documentari sperimentali
(2014-2016) che raccontano la storia del distacco dei popoli
occidentali dalla natura e i loro tentativi di superarlo.
Con il titolo Fake Paradise, la prima parte esplora il potenziale
delle piante e degli allucinogeni, mentre Nocturnal
Gardening racconta storie di donne che hanno trovato
modi alternativi di vivere in armonia con la natura.
In questo video, le protagoniste del film condividono
disinvolte le loro esperienze fisiche e mentali di sex
worker. Contrariamente alla percezione comune della
prostituzione, le loro storie parlano di emancipazione,
piacere e guarigione. La sessualità diventa un mezzo
per raggiungere la trascendenza, ispirato alle tradizioni
sumere della prostituzione sacra, un predecessore storico
del «lavoro di cura» fatto per e insieme alle persone.

Egon Rusina dice di essere una donna nel corpo di un
uomo con l’anima di un animale. Nella serie Pisciadoi,
l’artista di Ortisei in Val Gardena richiama l’attenzione
su un gioco di parole ladino e ne propone un’interpretazione
personale. Pisciadoi significa cascata, ma nella
traduzione letterale «due che pisciano» o «fanno pipì
in coppia». Basandosi sui propri ricordi, in questa serie
il paesaggio, il corpo, la nebbia e l’acqua diventano un
tutt’uno nell’immaginazione dell’artista in maniera ecosessuale.
«Tutto corre, scorre, schizza e piove nei miei
sentimenti!» Il piacere della donna che fa pipì all’aperto
dà a Rusina lo spunto per riflettere su divinità naturali,
apparizioni e terre del desiderio.

Sul pavimento di sabbia della Fortezza, From a Galaxy
To Another Galaxy di Masatoshi Noguchi apre nuove
connessioni tra costellazioni stellari, segni zodiacali e
mitologie interculturali attraverso inaspettate traduzioni
in oggetti di uso quotidiano. Eureka è invece il titolo di
una paletta con manico che sorregge un mappamondo,
rendendo omaggio ai lavoratori che metaforicamente
portano il peso del mondo sulle loro spalle come la figura
mitologica di Atlante. Le opere rivelano cortocircuite
e intuizioni tra forme naturali, cultura umana e percezione
linguistica, in un viaggio onirico alla scoperta degli
interstizi di diversi livelli culturali di significato.

Nel video un corpo di genere non specificato si confronta
con un sacco da boxe. Si sfinisce, finché non termina
il combattimento e se se ne va.
Solitamente espresso con sculture in metallo, cemento
e gomma, il linguaggio artistico di Toni Schmale è tangibile,
solido e vigoroso. Offre una visione sull’ampio tema
del desiderio, al di là del perfezionamento fisico o delle
pratiche di appagamento del piacere sessuale. Il modo
in cui la società controlla e standardizza i corpi, e i riferimenti
ai modi per sfuggire a queste categorie – i lavori
di Schmale lasciano tracce in molte direzioni. Infine, la
natura di questi lavori, simultaneamente aperta e chiusa,
lascia al pubblico la possibilità di interpretare.

Con le sue opere Nannucci trascende i confini della
rappresentazione utilizzando il linguaggio per creare
immagini mentali evocate dalle parole. Nel processo di
visualizzazione, esse mostrano una continua sospensione
delle componenti semiologiche e semantiche della
realtà. Con What to say what not to say, l’artista manifesta
l’atto di parlare e l’atto di tacere come elementi equivalenti.
Qui il silenzio si svincola da una retorica negativa
– Nannucci richiama l’attenzione al mutare della nostra
percezione attraverso il linguaggio. L’opera sottolinea
la responsabilità individuale che risiede nell’uso del linguaggio
e offre uno spazio di riflessione sul potere delle
parole e sull’importanza di adottare un approccio consapevole
alla comunicazione.

Per la sua opera Shut Up, Actually Talk, presentata per
la prima volta a documenta 13, Chiara Fumai interpreta
il ruolo della performer da fiera Zalumma Agra e le fa
parlare in lingue femministe. Zalumma Agra impersonava
una donna Circassa – considerate ideale di bellezza
dell’epoca spesso commercializzate come schiave
– nel teatro delle curiosità del Barnaum’s American
Museum di New York nel XIX secolo. Nel lavoro di Fumai
questa performer costretta al silenzio si fa portavoce di
un manifesto femminista:
«Chi dice che l’ideologia è anche la mia avventura?
/ Avventura e ideologia sono incompatibili / Io sono la
mia avventura». Nel ruolo di Zalumma Agra, Fumai cita
Io dico io. Secondo Manifesto di Rivolta Femminile (1977)
della teorica Carla Lonzi e del gruppo da lei co-fondato
Rivolta Femminile. In quanto medium che attraversa
epoche diverse, l’artista è in grado di trattare sia il linguaggio
che l’oratore come questioni politiche.

Nel lavoro al neon Naughty But Nice, Sylvie Fleury rende
propria un’espressione che viene utilizzata per indicare
un tipo di attrazione superficiale. Due caratteristiche
apparentemente contraddittorie esprimono un atteggiamento
sicuro di sé sotto forma di una grande scritta
rossa luminosa. Sylvie Fleury è diventata famosa negli
anni Novanta per la sua messa in scena di glamour,
moda e stile di vita. L’accoppiamento tra arte e commercio
in modo così disinibito sembrava disdicevole, anche
se l’introduzione del profano e del commercio nelle forme
d’arte ha una lunga tradizione, che risale a Marcel
Duchamp e alla Pop Art. L’artista combina costantemente
questa strategia con la decostruzione dei tradizionali
cliché di genere, in modo ironico e divertente. Utilizza un
linguaggio analogo al “branding” dei marchi di lifestyle.
In modo sorprendente ed enfatico, il logo diventa l’oggetto
del desiderio e ci costringe ad affrontare la questione
dell’affermazione degli stereotipi di genere.

In New York 1+2 / Chicago, l’artista ha assemblato moduli
di castelli Playmobil per costruire una serie di alte
torri, che eccedono le dimensioni della stanza dei giochi
di un bambino, e fanno riferimento ai grattacieli di New
York e Chicago, città in cui l’artista ha vissuto durante
le sue residenze artistiche. Le sculture possono essere
lette anche come materializzazione di uno spazio interiore
in cui sono conservati i ricordi. Si riferiscono anche
alla crescita delle città e alla leggenda della Torre
di Babele, e trovano una continuità formale nell’architettura
labirintica della fortezza.

CodeVerse è un’installazione multimediale sviluppata
da Alexandra Cárdenas per Fort Biennale 01 che presenta
una sessione di live- coding nello spazio espositivo.
Mentre si ascolta la composizione registrata dell’artista,
si vede proiettato il codice che ha scritto. Il linguaggio di
programmazione appare come uno spartito della musica
e ne diventa anche elemento visivo. Le lettere e i numeri
del codice entrano in dialogo con le pareti di pietra
grezza del forte. Nell’ambiente creato da Cárdenas possiamo
fare esperienza della simultaneità dell’interazione
tra l’input umano e la sua elaborazione algoritmica.
Entrando nell’installazione, partecipiamo al processo di
improvvisazione musicale con i linguaggi di programmazione
di Cárdenas, nel quale anche la parziale imprevedibilità
dell’elaborazione digitale gioca un ruolo importante.
Offrendo uno sguardo sul suo atto di creazione, l’artista
riesce a condividere il suo entusiasmo per le potenzialità,
l’etica aperta e la libertà insite nella pratica del live coding.

Pubblicato da Einaudi nel 2018 e tradotto in tedesco
da Folio Verlag nel 2021, Sincope/Synkope di Roberta
Dapunt è un volume di poesie che, come tutta la sua
opera, si avvicina al «corpo del linguaggio» in molteplici
punti. I luoghi del proprio corpo sono analizzati dalla
poetessa nello stesso modo dei luoghi della propria
lingua. Informandosi a vicenda, questi luoghi vivono in
costante relazione l’uno con l’altro. Come corpo, artista,
donna, amante, in lutto e in dialogo con le altre persone,
lo sguardo Dapunt su di sé è persistente e curioso e traspone
su carta il dolore e la dissonanza della condizione
umana. La finitudine, l’amore, la solitudine, le visioni, la
futilità, il linguaggio: tutto è fonte di agitazione. Le traduzioni
in tedesco delle poesie portano ciascuna la firma
personale dell3 due traduttor3.

Il motivo ricorrente dei grandi obiettivi delle macchine
fotografiche nelle opere di Beatrice Marchi ironizza sul
dominio della fotografia e della tecnologia, e racconta
di come la presenza degli obiettivi determini la nostra
percezione della propria immagine. Gli apparecchi fotografici
diventano personaggi di una narrazione integrata
da elementi fantastici. I corpi si confondono con lo
sfondo, si rifugiano nella natura e a loro volta ne usano
la bellezza come accessorio decorativo. L’anima guarda
attraverso un occhio nero – in un sistema di caverne
ampiamente ramificato in cui cerchiamo rifugio, ma che
possiamo ottenere solo con «Schufa und Anmeldung»
(sistemi di credito e registrazione tedeschi).

Days è un lungometraggio sperimentale che segue la
struttura di un episodio di una soap opera melodrammatica.
Attraverso un susseguirsi di storie che descrivono
lo stile di vita delle famiglie scelte delle comunità
queer marginalizzate, il film racconta le varie forme illusorie
di lavoro sulle quali si basano queste fragili vite. I
vari accenti e livelli di inglese, con le espressioni specifiche
relative a certi temi tracciano un ritratto contemporaneo
di un’incarnazione linguistica.

Sculpture cinetiche gonfiabili imitano corpi intenti a eseguire
esercizi ginnici ripetitivi. Sono realizzate in tessuto
stampato con una texture fotografica di superfici in
pietra e in rame, in una rivisitazione postmoderna delle
sculture di Henry Moore. La serie offre uno sguardo
satirico sulle politiche del lavoro contemporaneo, dove
concetti come libertà e flessibilità sono presentati come
vantaggi, mentre tengono i lavoratori in ostaggio nella
precarietà. Le sculture sono anche rappresentazioni
iconiche delle comparse che vediamo nella palestra
del film Days.

Per l’installazione audio 100 001 Hannes Hoelzl si è ispirato
ad un video virale di YouTube del 2017, in cui il popolare
youtuber Mr Beast si fa riprendere mentre conta
da uno a centomila. Una persona conta meccanicamente
come una macchina, conferendo ai numeri un corpo
linguistico. Per la sua installazione sonora, Hannes
Hoelzl ha programmato voci nelle lingue più parlate in
Alto Adige mentre pronunciano i numeri crescenti per
tutta la durata della mostra. Aumentando di giorno in
giorno, ronzano come parole nello spazio esterno della
fortezza e rimbalzano dalla pietra e dalle pareti, sfaccettandosi
in numerosi echi. La traduzione tecnologica
del sistema numerico in diverse voci crea un mantra ritmico
in cui i colori tonali delle diverse lingue diventano
espressione musicale.

Il gruppo di opere A Family è installato sulle pareti esterne
della fortezza e consiste in un elenco dei membri più
stretti della famiglia dell’artista, elencati per nome in
lettere di legno di grande formato. L’opera manifesta le
relazioni familiari sotto forma di semplici insegne nello
spazio pubblico, e offre uno spunto di riflessione sul valore
delle convenzioni sociali e della libertà personale.
Come lettering sulla facciata, la struttura familiare non
convenzionale diventa poesia concreta.

Un gruppo di strumenti musicali invita i visitatori ad esplorarne
il suono e a entrare in dialogo con le altre persone.
Ogni strumento è stato costruito da Max Castlunger con
mobili trovati, materiali usati o naturali, ispirandosi agli
strumenti della sua collezione, provenienti da diverse
parti del mondo. Con questo lavoro vuole dimostrare che
la musica può essere un linguaggio universale accessibile
a tutti (in ladino Lingaz universal). Al tempo stesso, è
interessato a rendere accessibile il funzionamento e la
logica degli strumenti, accordati secondo una scala pentatonica
per favorire l’interazione armoniosa tra di loro e
con strumenti esterni.

Le relazioni e le storie personali di Altınstark sono parte
integrante delle loro collezioni di moda e lavorazioni
tessili, create utilizzando tecniche sperimentali di tintura
con pigmenti naturali. Sui tessuti e gli abiti realizzati
dalle artiste vengono applicate parole, frasi e segni,
utilizzando la tecnica della cera a caldo. Il loro lavoro è
influenzato dall’estetica dei graffiti e dall’idea della ripetizione
di segni. L’opera qui esposta riflette letteralmente
la concatenazione e gli intrecci della loro relazione:
Özlem Altın invita la sorella Esra Altın, la quale a sua volta
invita Marielena Stark a partecipare ad una mostra
sulla possibilità di reagire insieme allo spazio e all’opera
“Naked Eye (lateral masking)” di Özlem. “Göz”, l’occhio
di Altınstark, nel quale appaiono due segni della pace,
chiude il cerchio del discorso.

Nei suoi dipinti, collage, fotografie e libri d’artista, Özlem
Altın esplora il corpo immobile e l’inanimato in movimento.
Per realizzare i suoi collage Altın attinge alla collezione
di fotografie che ha raccolto nel corso degli anni,
combinando immagini da lei scattate con immagini trovate,
in dense costellazioni visive. Attraverso il fotomontaggio
e l’applicazione di colore su diversi strati, riesce a
portare alla luce nuove connessioni tra gli elementi visivi
che compongono le sue opere. I collage di Altın invitano
il pubblico a concentrare la propria attenzione sullo
spazio tra le immagini per sviluppare delle narrazioni
personali. Alcuni elementi e figure – come la maschera,
la sirena e l’airone – sono simboli ricorrenti nei suoi collage,
che cercano di rappresentare uno stato ibrido, in
parte umano, in parte animale. Questa complessa rete
di immagini contribuisce a formulare una narrazione, a
tratti mitologica, sull’esistenza corporea.

L’installazione tessile Rub your face onto your shoulder di
Sunny Pfalzer racconta storie di collettività, vandalismo
e romanticismo. Le magliette, i pantaloni e le camicette
color pastello che compongono l’installazione sono stati
indossati per strada da sei performer e ora invitano i
visitatori a soffermarsi. L’installazione è accompagnata
da un brano sonoro realizzato in collaborazione con il
musicista RnB Marshall Vincent. È una meditazione, una
poesia, un’attivazione corporea e un invito a riposare
nell’installazione e a lasciarsi abbracciare dai suoi morbidi
tessuti. La metodologia di Sunny si fonda su elementi
incarnati e rappresentativi delle proteste e sulla possibilità
di trasformare lo stare insieme in uno strumento di
emancipazione. Attraverso performance, video e sculture
tessili, l’artista indaga i punti di forza e i pericoli dell’anonimato,
dei corpi e dell’identità collettiva, e i modi per
costruire relazioni sensibili con l’ambiente circostante.

Nell’archivio di Egon Rusina, migliaia di disegni ispirati a
fenomeni naturali sono impilati meticolosamente in cartelle
che contengono ampie serie dedicate ad un tema
specifico. Rusina annota a mano le sue idee e pensieri.
La maggior parte dei disegni sono stati creati all’aperto
nell’Alpe Rasciesa, dove ha vissuto a lungo in una capanna
spoglia, dove si reca tuttora. Der Baum è una delle
serie in cui Rusina intreccia elementi vegetali come
l’albero e i suoi rami in modo cangiante con l’interno del
corpo umano, i nervi e i vasi sanguigni. Anche in questa
serie, forme delicate che ricordano organi sessuali
si formano sulle superfici delle strutture disegnate.
Paesaggi interni ed esterni si sovrappongono, carne e
spirito, immaginazione e realtà diventano un tutt’uno.
L’artista ci ricorda le analogie tra i diversi elementi che
costituiscono la vita sulla terra.

La serie Forest of Temperament di Julia Frank è un viaggio
nella complessità del temperamento umano, una navigazione
attraverso le profondità verdeggianti del nostro
paesaggio interiore. L’artista evoca una trasformazione
attraverso la ricostruzione e la resilienza. Visivamente,
lavora combinando tecniche tradizionali e sperimentali:
fotografie in bianco e nero vengono trasferite su uno
strato di cera su tessuto di cotone attraverso l’uso processuale
del calore. Attraverso un’applicazione mirata
del calore, le immagini vengono bruciate sulle tele. Ogni
singola opera si basa su una coppia di immagini selezionate
dall’archivio fotografico di Frank, che funge da
elemento formale cooperativo. La combinazione di figurazione
e astrazione riflette la natura umana nell’interazione
tra corpo e linguaggio, privato e pubblico, e
l’inevitabile cambiamento costante della nostra identità.

Il coreografo e danzatore franco-vietnamita Thierry Thieû
Niang ha lavorato spesso a progetti realizzati insieme a
persone anziane. Il film documentario Une jeune fille de
90 è la testimonianza di un workshop con pazienti affetti
da Alzheimer in un ospedale della città di Ivry-sur-Seine,
con i quali sperimenta esercizi di musica e semplici esercizi
di danza. La macchina da presa instaura una vicinanza
intima e mai invadente con donne e uomini fragili, che
sbocciano sotto la guida di Niang e talvolta mostrano un
entusiasmo inaspettato. Mentre si raccontano, Blanche,
Adélaïde, Pierrot e altri pazienti si immergono nei ricordi
della loro vita. Thieû Niang balla con gli anziani, spesso in
coppia e a stretto contatto fisico, anche se alcuni di loro
sono fisicamente molto deboli. Un film che proclama il
potere emotivo della danza e del tatto come linguaggi di
connessione e di guarigione e sfata molti pregiudizi sulla
malattia di Alzheimer. (Fonte: filmdienst.de)

«Cosa risuona dalle mura della fortezza? Voci umane e
non umane, ed emissioni dall’ultra all’infrasonico. Nella
loro molteplicità, come uno sciame, figure geometriche,
sincronicità. Nella loro quiete, appena percepibili, intime
». (C. Profanter)
Al centro degli oggetti sonori acusmatici di Caroline
Profanter c’è la ricerca dell’astrazione, la liberazione
della materia dalla sua origine. Il materiale di partenza
per questo lavoro sono la voce fuori dal corpo, timbro,
grana, struttura e il suo spettro. Il suono viene trasmesso
da una serie di diffusori multicanale disposti in serie
e modulati nel tempo, posizionati in modo da dialogare
con lo spazio e i suoi rimbalzi – la stanza come cavità
che funge da risonatore. Ogni materiale e ciascun corpo
trasforma le onde sonore che viaggiano nello spazio.
L’aria e le pietre vengono fatte vibrare, oscillando tra attrito
e simbiosi, resistenza e fusione, sintonia e diacronia,
immersione e osservazione.

La scultura site-specific My Summer Time dialoga con
la meridiana sulla facciata dell’edificio della fortezza,
che mostra l’ora sbagliata a causa del cambio dell’ora
legale. Con l’installazione giocosa di una scala per raccogliere
le mele, l’artista crea una scena utopica che
suggerisce una possibile reimpostazione del tempo.

Il video Lip Sync è uno dei primi lavori in cui Bruce
Nauman inizia a utilizzare il proprio corpo come materia
prima e, come altri artisti dell’epoca, a sperimentare
con media audiovisivi e time-based, incentrando la
ricerca sulla relazione tra percezione propria e quella
dello spettatore. Ruotato di 180 gradi, il video mostra la
bocca dell’artista nel tentativo di sincronizzare i movimenti
delle labbra con la registrazione audio della sua
voce, ripetendo il titolo dell’opera e ascoltandolo contemporaneamente
in cuffia. La coordinazione dell’immagine
e del suono si muove in modo sincronizzato e
pone lo spettatore in una tensione nervosa che si intensifica
ritmicamente in una sorta di interazione fisico-intellettuale,
simile a una danza, tra l’artista, il destinatario
e il mezzo espressivo. In inglese, la parola sync è strettamente
legata al suono della parola think.

A partire della fine degli anni Ottanta Tracey Emin è nota
per l’intimità cruda e confessionale del suo lavoro, che
sfida il rapporto tra soggettività e creatività, le norme sociali
e le aspettative del mercato dell’arte. Le sue opere
si sviluppano da riferimenti autobiografici, che racconta
con diversi media: dalle installazioni, come il suo letto,
a una tenda ricamata con i nomi di persone con cui ha
condiviso un letto, ai neon, alle stampe, ai disegni e ai
dipinti. Nella rappresentazione di se stessa si confronta
con la propria fisicità, rielaborando la storia della sua vita
sessuale e di esperienze di violenza sessuale e aborto.
What are you so fucking afraid of? chiede Tracey Emin
nel 2001 sul dittico in stile punk imprecante. L’arte è l’espressione
catartica dell’artista, con cui comunica direttamente
con se stessa e con lo spettatore.

L’arazzo di Alighiero Boetti fa parte di una serie di opere
realizzate dall’artista in collaborazione con tessitori afgani.
Nell’opera diverse lettere dell’alfabeto latino disposte
in 625 quadrati colorati danno vita ad una composizione
in bilico tra leggibilità testuale e immaginazione visiva.
L’artista fa riferimento alla poesia concreta del dopoguerra,
in cui il linguaggio viene utilizzato non solo come
sistema di denominazione di segni, ma anche come materiale
sinestetico e strumentario per la sperimentazione
visiva. Con un approccio ludico a sistemi di segni esistenti
quali la geometria, le lettere e i colori, l’autorialità
passa in secondo piano e lascia spazio alle coincidenze
che accadono con le collaborazioni e le sovrapposizioni
culturali. È così che Boetti permette ai principi dell’arte
orientale, che lo hanno affascinato in Afghanistan, di confluire
nella sua arte. Come ha affermato una volta: «Dare
tempo al tempo e dare il mondo al mondo».

Per oltre 25 anni, Berty Skuber ha coltivato un’intensa
«amicizia epistolare» con il neurologo e arteterapeuta
Wulf Becker-Glauch, alla quale hanno preso parte anche
la moglie di Wulf, Hedwig Schockmann, e Henry Martin,
curatore e marito dell’artista. Berty Skuber progettava le
sue lettere in modo che fossero tanto elaborate quanto
casualmente naturali includendo molti segni della sua
produzione artistica, che a loro volta venivano interpretati
da Wulf Becker-Glauch con il suo approccio arteterapeutico.
Se visivamente la corrispondenza appare
esemplare nel contesto del movimento della Mail Art, la
sua particolarità sta nella profondità con cui i protagonisti
riflettono sul loro processo artistico epistolare e sul
suo effetto intensificante della loro percezione del tempo
e della vita. «Attraverso la creazione artistica, il cuore è
sempre già aperto alla parola». (Wulf Becker-Glauch, dalla
corrispondenza con Berty Skuber, 12/09/2006)

Con il suo lavoro artistico, Welponer cerca nuove relazioni
tra le cose che vanno al di là dell’umano ed esplorano
aperture antropomorfe, transizioni e paesaggi, fino
a raggiungere un punto in cui viene meno la linea di demarcazione
tra umano e non-umano. Questo approccio
si ritrova anche nella sua Stillleben mit Muschel del
1975, realizzata dopo un viaggio alle Seychelles.

Ispirandosi agli studi naturalistici e alle formazioni cicatriziali
antropomorfe degli alberi, Karin Welponer ha
creato il ciclo di disegni Doch alle Lust will Ewigkeit (ma
ogni piacere vuole l’eternità) che prende il nome dalla
canzone di Zarathustra di Friedrich Nietzsche. Karin
Welponer celebra un esame grafico della vulva in variazioni
figurative e sinestetiche astratte, fatte a carboncino
su carta vergata. In omaggio alla femminilità e alla
sensualità, l’artista crea forme che diventano segni di
un suggestivo linguaggio naturale.

Roni Horn lavora in ottica minimalista sviluppando una
riduzione della forma dell’opera d’arte, privilegiando linguaggio
e materiali. Le sue sculture evocano immagini
mentali di una dimensione pre-visiva. Nella scultura
Seen in the distance la frase «her eyes were as hard as
two old mountain ranges seen in the distance» (trad. Il
suo sguardo era duro come due vecchie catene montuose
viste da lontano) viene materializzata in plastica
nera, colata con precisione in uno stampo di alluminio.
La frase appare come un frammento di una narrazione
più ampia: l’analogia tra occhi e due catene montuose ci
permette di dedurre una relazione tra la visione, intesa
come atto che modella i nostri sensi, e la composizione
morfologica del paesaggio montano. L’opera rivela
l’influenza dell’ambiente sulla nostra percezione e sul
nostro linguaggio, così come la connessione tra paesaggio
e identità.

Nel disegno Riveste il pozzo di Pavor l’immagine è uno
spazio di pensiero. I disegni sorprendentemente piccoli,
in forma di fumetto, sono disposti sulla carta in raggruppamenti
sciolti, con frecce tra le miniature e frammenti
di frasi che talvolta indicano una direzione di lettura.
Nella “visibilitá minima” di Baruchello (Tommaso Trini) i
singoli elementi si ripetono e variano, ad esempio nella
proporzione reciproca, creando un’intertestualitá specifica
dell’immagine. Non hanno una funzione didattica,
ma sono depositari di energia narrativa (Lyotard, 1982).
Attingendo all’abbondanza di regole verbali e visive, l’opera
consente una mappatura ludica di un processo di
un pensiero.

Carlfriedrich Claus ha cercato di rivelare la latenza del linguaggio
e sperimentato con l’idea che da segni, scrittura
e foni del linguaggio, quindi dalla sostanza dei loro suoni,
possa essere emanato qualcosa di simile a un’informazione
strutturale. Quando crea i suoi «fogli di linguaggio»
o «testi di vibrazioni», articola un’opera che si sviluppa simultaneamente
su più livelli, che mira anche ad ampliare
la percezione di coloro che la recepiscono. «Dopo la creazione
di un foglio linguistico mi chiedo spesso quanto sia
grande la proporzione di ciò che non è ancora successo
nel corpo, che senza una realizzazione simultanea, superando
così la coscienza, si manifesta attraverso il movimento
della mano; quanto è grande ciò che non è ancora
cosciente nella coscienza, soprattutto nella coscienza linguistica
[…].» (CC: lettera a Ernst Bloch dell’8 luglio 1974).

L’installazione di Jörg Zemmler ci offre uno sguardo sulla
realtà della produzione letteraria di uno scrittore, illustrando
le fasi che il testo attraversa per arrivare al
libro: dalla prima copia scritta a mano su un quaderno
al trasferimento in formato digitale, dove il testo viene
negoziato e discusso in redazione, fino al libro stampato.
Impariamo a conoscere il lavoro dell’autore, un lavoro
di limatura e modellamento del materiale del corpo
del testo, e non ha molto a che fare con l’immagine della
persona solitaria alla scrivania. In questo contesto,
Zemmler parla anche di «dispute linguistiche»: la lingua
stampata può essere preceduta da discussioni, suggerimenti
per cancellazioni, cicli di correzione e compromessi
con gli editori.
Redazione dei testi di Jörg Zemmler: Merle Rüdisser
per gli editori Limbus e Alphabeta, Ralph Klever per
Klever Verlag.

L’opera Den Materiellen Netzen waechst stets auch ein
analoges Gedankennetzwerk, neuronales Netzwerk
zu–die moderne Struktur seines (Le reti materiali sono
sempre accompagnate da una rete analogica di pensiero,
una rete neurale – la struttura moderna della sua
immagine di metadati) è nata in un periodo storico in cui
i sistemi di comunicazione sono diventati notevolmente
globalizzati e personalizzati. Attraverso quest’opera
Kowanz descrive gli effetti dei cambiamenti tecnologici
sulla coscienza e immagina come questi possano portare
allo sviluppo di una rete neurale globale. Allo stesso
tempo mostra l’impatto che l’organizzazione strutturale
dei network possa avere sui contenuti. Brigitte Kowanz
anticipa così gli effetti psicologici e fisici delle tecnologie
di comunicazione, che oggi avvertiamo in maniera
tanto evidente.

L’opera Das Tor ist eng Bozen / Stretta è la porta Bolzano
è stata realizzata da Lawrence Weiner in due versione di
25 pezzi ciascuna. Bolzano, la porta del sud e del nord, a
seconda della prospettiva. Chi entra? Chi trova spazio
qui? Il ricamo in seta con l’alternanza di scritte bilingue
può essere letto come un commento critico sulla politica
della città di Bolzano.
In Alto Adige Weiner ha realizzato diverse installazioni
testuali in spazi esterni, come quella sulla facciata
dell’ospedale di Merano. Nel progettare le sue «sculture
di testo», l’artista inizia dalla sua prima lingua, l’inglese,
per poi realizzarle anche nelle rispettive lingue locali. Il
lettering poetico che allude alla letteratura, consente un
avvicinamento con lo spazio specifico in cui è inserito,
rimanendo aperto alle interpretazioni.

L’installazione interattiva #SOPHYGRAY invita i visitatori
a comunicare con il Chatbot sviluppato da Nadja
Verena Marcin. Allo stesso tempo, in una proiezione video
a due canali, vediamo l’artista danzare nelle vesti
di una ginoide (robot umanoide femminile) che ricorda
la Maria del Metropolis di Fritz Lang. Il progetto a lungo
termine che coinvolge 40 collaboratrici esamina i
chatbot controllati dall’intelligenza artificiale da una
prospettiva femminista intersezionale. Basandosi sulle
teorie di Audre Lorde e Donna Haraway, l’IA di Marcin
rifiuta in modo consapevole di assumere una posizione
sottomessa al servizio come Alexa o Siri. Utilizzando
una combinazione di linguaggio filosofico, umoristico
e assurdista, #SOPHYGRAY richiama l’attenzione sugli
stereotipi di linguaggio, genere, cultura e habitus nelle
tecnologie di interazione uomo-computer.

Close (Roots and Branches) e Close (Step) sono strutture
autoportanti con dipinti realizzati nel bosco di Buchen,
nel Tirolo del Nord. Dipinte e montate su impalcature
metalliche, le tele appaiono come portali d’ingresso in
un mondo pittorico con riferimenti all’ambiente selvaggio
in termini di contenuto e forma. Gli ornamenti sulla
sommità delle cornici, ricavati da oggetti trovati nelle
vicinanze, si ispirano alle decorazioni delle stube tirolesi
conferendo ai dipinti un effetto totemico. Nel formato
delle opere, simile a quello di uno smartphone,
le crepe sullo schermo si fondono in radici. Nella sua
ambiguità, il titolo Close si riferisce al rapporto ambivalente
dell’uomo moderno con la (sua) natura. Gli effetti
del tempo, già visibili sulla superficie dipinta, diventano
parte di un processo di riappropriazione della natura
che continuerà alla Fortezza.