Sconfinamenti. Julia Bornefeld & Michael Fliri

Dauer

15 settembre 2018 – 3 giugno 2019

Kurator/Organisator

Mostra curata da Esther Erlacher

Kurztext

Con la mostra “Sconfinamenti: Julia Bornefeld & Michael Fliri”, il Forte di Fortezza prosegue sul filo rosso dell’arte contemporanea e propone al tempo stesso un nuovo formato. I due artisti infatti intraprendono un dialogo con gli spazi carichi di storia del Forte, confrontandosi con alcuni dei temi portanti della futura nuova mostra permanente: i confini e l’esperienza dei confini.

Langtext

La mostra combina opere nuove e vecchie, queste ultime reinterpretate in funzione del luogo: tele, fotografie, videoinstallazioni e sculture, poste in dialogo fra loro e con gli ambienti della fortezza asburgica. Stanziati in parte in Alto Adige ma noti anche ben oltre i suoi confini, Bornefeld e Fliri affrontano questa sfida creativa in maniera diversa.

Nell’autunno 2017 e nella primavera 2018 Julia Bornefeld ha installato per diversi mesi il proprio atelier nel Forte, traendone ispirazione diretta. Mesi durante i quali la fortezza, per molti inavvicinabile e impenetrabile, è divenuta per Bornefeld un’alleata. Il vento gelido, la neve caduta in abbondanza, l’adiacente lago artificiale coperto da uno spesso strato di ghiaccio, le temperature invernali e le condizioni di luminosità del cortile interno, sempre all’ombra, hanno portato Julia Bornefeld a sperimentare sotto diversi aspetti, i propri limiti. “Era un posto a metà tra galera e chiesa, col fascino di quei capannoni espositivi nati a Berlino nelle ex fabbriche dopo la caduta del muro”, lo definisce la stessa artista.

In questo lasso di tempo sono nati diversi cicli di opere dal titolo “morphic fields”, che con la loro monocromia si allineano all’atmosfera del Forte in inverno. Il richiamo è alla teoria dei campi morfici (o morfogenetici) del biologo Rupert Sheldrake, secondo la quale gli organismi s’influenzano reciprocamente per effetto della loro mera presenza.

Nella mostra, alcuni di questi lavori su tela e un video nato dalla collaborazione con l’artista cinematografico Michael Beyer si combinano con tre installazioni. La prima è “Ephemere”, oggetto luminoso cangiante che per dimensioni e luminosità ricorda i lampadari del primo Novecento; solo a un’osservazione più attenta si rivela composto da migliaia di monete color rame da un centesimo – fastosa allusione alla fugacità del denaro e alla caducità dei valori. C’è poi “Alba”, un’Italia stilizzata che sporge nello spazio, fatta di listelli di legno carbonizzato giustapposti. L’opera riprende la tendenza della cosiddetta “arte povera” di fine anni ’60 e degli anni ‘70 rimandando alla realtà odierna dei movimenti migratori. E per finire “Porifera”, installazione sonora e luminosa sospesa nel vuoto, omaggio all’affascinante mondo delle spugne.

Chi ha seguito la carriera artistica di Michael Fliri fino a oggi lo conosce prevalentemente per le sue performance e sa che la definizione di artista che “sconfina” (tra luoghi, generi e scelte artistiche) gli calza a pennello. Sconfinamenti però Fliri ne compie non solo tra le forme artistiche, scandagliando i confini tra film, fotografia, scultura e suono, ma soprattutto all’interno della sua opera. Da un bisogno Michael Fliri sembra quasi ossessionato: quello di rendere sempre nuovamente sperimentabile e visibile lo spazio intermedio, l’intercapedine. Ad esempio come cavità (ad alta intensità psicologica) tra viso e maschera nelle sculture realizzate con maschere del ciclo “Where do I end and the world begins”; o come alito vitale nella serie fotografica “My private fog II”, dove a seconda dell’intensità il respiro dell’artista rende più o meno visibile il soggetto ritratto, ovvero il suo stesso viso avvolto da pellicole trasparenti. Fliri orbita continuamente e con fine ironia intorno al tema della metamorfosi, del transitare ad altri stati, dell’esser-presso-di sé e dell’esser-fuori-di sé, e progetta a questo scopo scenari magici. La scultura “Archeological inflation”, alla quale ha lavorato a pieno ritmo fino a pochi giorni prima dell’inaugurazione insieme alla sua art director Antoinette Bader e a un soffiatore del vetro, è esposta per la prima volta: composti su piani rialzati ricoperti di pelle, dei palloni di vetro soffiato splendono sotto maglie metalliche trasformando lo spazio (anche) in un luogo sacrale, o, di nuovo, in un luogo tra “galera e chiesa”.

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